Francesco Orioli (editor), Cronaca de' principali fatti d' Italia dall' anno 1417 al 1468, di Niccolò della Tuccia Viterbese (Roma 1852), pp. 274-285:
[274] Era stata in Viterbo a quei tempi gran tribolatione, come inanti ho detto. Per lo che il papa [Calixto] mandocci M. Pierludovico suo nepote carnale, e capitan general della Chiesa, e governatore del ducato di Spoleti, del Patrimonio, di Peruscia, d' Orvieto e d' Amelia, e fu casso M. Paolo Santa Fida, vescovo siracusano [1446-1462], stato in quell' anno rettor del Patrimonio, nel qual anno Viterbo hebbe piu guai e tribulationi che havesse havato mai in 60 anni, per le cose gia scritte. Detto nepote del papa meno seco circa 500 cavalli e 500 fanti, da maggior parte ladri e rubatori, e facevano milte roberie in Viterbo. Il comune nostro fe' un presente a detto capitano, et io fui uno de' ministri ad ordinarle, e scriverollo. Furno sei scaltele di coriandoli, lui scatole di pignoccate, otto torce, 15 libre di candele di cera, dui libre di cinnamo, dui libre di zenzero con una libra di pepe, mezza libre di gerofani, 4 once di zaffrano, 100 libre di pesce grosso, una cesta d' ove, 15 libre di cascio pecarino, 15 libre di sale, 25 libre di farina, 20 some d' orzo, e 50 some tra fieno e paglia. Queste robe le mandavamo nel venerdi, il sabato poi mandammo otto castroni vini, sei capretti, 30 polli tra galline e capponi, 6 sommate, 30 barili di vino. E fu ordinate un bacile et un boccale d' argento fino di valuta di 60 ducati d'oro. Era questo giovane d'anni [275] 24, bello di persona, piacevole, e costumato; et ordino si facessero le guardie per Viterbo la notte accio non seguissero robarie.
A 17 di febbraro [February 17, 1457] tornò da Roma M. Iacovo di Nicolasso, e M. Christofano di Giovanni Malvicini ambasciatori del commune di Viterbo, e recorno bolle del papa della remissione generale d' ogni delitto fatto in Viterbo dal di che fu morto Prinsivalle sino a questo di: che ogni viterbese fuggito per il processo fattoli del giudice del patrimonio potesse tornare in patria salvo e securo, eccetto li cittadini ribelli, come di sotto faro mentione.
Dissero anche detti ambasciatori, come il papa haveva fatto prigione il suo tessuriero, e messolo in castel s. Angelo, e gli tolse tutta la sua roba, perche haveva fatto incarire il grano in Roma.
All' ultimo di febbraro detto M. Pierludovico Borgia, nepote del papa, fe' cominciar li fondamenti della rocca di Viterbo a canto da porta di s. Lucia, dicendo voler rifar detta rocca, e fece portare assai calcina nel venerdi di carnesciale. Poi fe' seguitare facendo venir montefiasconesi, sorianesi, bagnaioli, vitorchianesi, e canapinesi, e di tutte le terre intorno lavoratori per ritrovare li fossi. Fe' venire calcina assai da Vitorchiano, e fe' fornir di scavare le case di Paliano e Alessio Tignosini, e tutte le pietre e legname fe' portare a detta rocca. E spora li maestri fu un cittadino di Viterbo chiamato Giovanni di Nofrio.
All' 8 di marzo [1457], martedi, detto messer Borgia pose un ducato d'oro di Papa Calisto nel fondamento del canto dinanzi del turrione di detta rocca. In un lato[276] di detto ducato era s. Pietro, nell' altro un bove, e poi vi pose di sua mano la prima pietra, e fe' fare gran festa con tirar bombarde, sonar trombe e campane, e donò a detto Giovanni di Nofrio tre ducati d' oro acciò facesse colatione con li muratori facendo seguire il murare.Quando detta rocca fu messa in fortezza, e fatta la porta dentro, et ordinato fuori il ponte levatoro, e cominciato a far li merli dentro, gli vennero messi dal papa che andasse a Roma, dove andò con tutte le genti che haveva in Viterba. Vi rimasero solo due contestabili con 100 fanti per uno; fu Bartolomeo dell'Aquila e Benedetto dal Borgo. Fe' cosi per stare in mezzo lalle terre dell' Orsini e del conte Averso che guerreggiavano insieme.
Sabato, 23 d'aprile [1457], il conte Averso andò con 700 persone a Galera, ch' era di Napolione e delli fratelli, e corsero sino alle sbarre. Era in Galera un condottiero di Napolione chiamato Corrado d'Alviano, il quale usci fuora a far difesa con 200 persone, e durò la battaglia gran pezzo. Infine fur trovati morti tra una parte e l'altra circa 24 huomini e 40 feriti, e morti 80 cavalli. Il detto conte tornò alle terre sue, e menò prigioni 9 huomini d'arme.
Domenica, primo di maggio [May 1, 1457], fra Giovanni da Volterra, dell'ordine de'frati minori, predicò nella piazza del commune di Viterbo, ove fe' fare un altare, et ordinò che tutti li cittadini, che erano in detta piazza, giurassero che mai nullo cercasse farsi capo di parte; e che ognuno dovesse attendere al buon vivere. Alle quali cose tutti li cittadini da bene giurorono volentieri nelle mani di M. Pierfilippo da Spoleto luogotenente del governatore. [277]
Nel lunedì seguente predicò a S. Lorenzo, e tutte le genti che ci furno giurono in simiul modo sul ponte di s. Lorenzo, e fu fatta la processione per la terra.
Martedi 4 de luglio [July 4, 1457] entrò in Caprarola Menelao figlio fu del prefetto Iacomo da Vico con cavalli e fanti, et in questo modo la tolse al conte Averso.
In quel tempo M. Borgia nepote del papa con le genti della chiesa andò a campo alle terre che furno del conte di Tagliacozzo, quali teneva il cardinale Orsino e fratelli, e pose campo ad un castello chiamato s. Gregorio, e dettegli battaglia. Quei di dentro si difesero bravamente. Poi riposata la battaglia mandorno a dire a detto M. Borgia, che voleva da loro? Disse lui, che voleva quel castello per la chiesa. Risposero esserne contenti: e cosi li diedero le chiavi. Poi andò a Crispino, et all'hora gionse un fratello del cardinale Orsino con sue genti, et assaltorno il campo, e ferno un bel fatto d'arme, e furno feriti circa 100 di detto campo.
Venerdi 8 di detto mese [July 8, 1457] il papa mandò per detto cardinale, quale il sabato rispose ci andava la sera. In quel mezzo lui partì di Roma con tutta la sua roba, et andossene a Monteritondo: e tuttavia seguiva la guerra tra l' Orsini e il conte Averso.
D' agosto M. Borgia fu fatto prefetto in Roma con grand'honore.
D' ottobre si mosse dalla Torre del Grego sotto Napoli una donna chiamata madonna Lucretia figlia d'un Cheri (sic) shiamato M. Nicolò, la qual donna era amata e vagheggiata dal re di Ragona [Alfonso V the Magnanimous], e dicevasi certamente che il re non usava in peccato carnale con lei, ma solo in parlare se ne pigliava vaghezza, [278] e pareva di tutte l' altre cose si fosse dimenticato. Partendo detta Lucretia con licenza del re, le concesse il suo volare, e li donò 5 mila alfonsini che valeva ducato uno e mezzo l'uno; e 3 mila ducati felli dare in Roma dal banco d'Alessandro Miraballi, acciò detta donna si facesse assai honore in sua venuta. Menò seco 500 cavalli, tra' quali ci furno 50 damigelle bellissime, mogli di nobili giovani, e menò 25 donne mogli de' conti e marchsi, et altri signori, vestiti tutti, huomini e donne, di color nero, perchè un fratello di detta donna, che era cardinale, era morto in quella state passata; e tanto cavalcorno che gionsero a Marino, terra del Cardinal Colonna, dove fulle fatto grande honore.
Saputa in Roma detta venuta, tutta la famiglia del papa, e di tutti li cardinali, in compagnia di M. Borgia nepote del papa, gli andarono incontro sino a Marino, e con gran trionfo e suono di stromenti entrorno in Roma, e smontorno al palazzo del prencipe fratello del cardinal Colonna, e nepote fu di papa Martino V.
Domenica 17 ottobre detta madonna Lucretia fe' un grandissimo convito, nel quale fu detto Borgia, e tutti li cortegiani laici de grand'affare. Anche vi furno invitati 100 cittadini del fiore de'romani con le loro donne. Detto convito fu inestimabile d'abondantissimi cibi, fornimento d'oro ed argento, con danze, balli, e suoni d'ogni strumento.
Lunedì seguente detta madonna Lucretia montò a cavallo, e appresso di lei andorno M. Borgia con tutti li signori cavalieri, donne e damigelle che haveva menato seco, et andò a visitare il papa in san [279] Pietro, dove il papa la ricevette con grandissimo honore, e Ievossi di sedia e fessele incontro sino all'uscio della camera sua, e li stettero in festa et allegrezza sino passato tre hore di notte: e portorno infinite supplicationi, le quali tutte signò il papa per quelle feste; e così tutti contenti tornorno al palazzo del cardinal Colonna. Poi si parti da Roma con tutta la compagnia, et andò a Napoli al re di Ragona.
Alla fine d' ottobre [1457] si mosse il conte Iacovo Piccinino, con circa 7 mila soldati del re di Ragona, e levatosi d'Abruzzo andò a mouver guerra al sig. Sigismondo [Malatesta] da Rimini; e questo fu perchè in tempo che il re di Ragona andò in persona contro li fiorentini nell'anno 1447, pagò a detto sig. Gismondo 23 mila florini d'oro volendolo al suo soldo, et egli si partì, et andò al soldo de' fiorentini contro detto re: e così il conte Iacovo ando a muoverli guerra. Il fratello di detto Gismondo, chiamato Giovanni signor di Pesaro, accettò detto conte per dispetto del fratello.
Anche l'accettò il sig. Federico signor d'Urbino, tutti nemici del sig. Gismondo. Nella prima entrata il conte mise a sacco dui castelli in quel di Fano del sig. Gismondo.
Il sig. Giulio da Camerino, genero di detto signor Gismondo, mandolli in soccorso 300 cavalli et assai fanti.
In quei tempi Anselmo re d'Ongaria fu avvelenato dal'ongari nella città di Praga perche fe' pigliare e tagliar la testa al igliuoli di Giovanni Bianco sotto il suo salvacondotto.
Al ultimo di dicembre il papa fe' fare accordo [280] tra li Orsini e Colonnesi, cioè il cardinal Orsino con tutti li suoi sottoposti et amici col cardinal Colonna e tutti suoi sottoposti et amici, e ferno tregua per dui anno. Rimase il conte Averso escluso da detta tregua, e malvoluto dal papa. In quell'anno non si sentì altra cosa da notare.
Venuto il 1458, et essendo una grand'armata del re di Ragona a campo di Genova di gennaro, tutti quelli di dett' armata smontorno in terra, e derno battaglia alla detta città, e per forza entrorno dentro. Quelli della città ferno gran difesa, nella qual morirno infinita gente dall'una parte e l'altra, ove li catalani furno cacciati fuori, e poi combattendo un'altra rientrorno dentro la terra: e fu una grandissima battaglia, e detti catalani furno rotti e cacciati fuori da'genovesi, e tanti ne furono morti, che appena quelli che ci rimasero vivi poterno con loro remi levarsi di campo, e tornare a Napoli: tanto pochi furno.
Per la morte del re d' Ongaria fu cavato di prigione un giovane d' anni 17 chiamato Andrea, figlio dell' antedetto Giovanni Bianco, che per la morte del fratello fu messo prigione, e la maggior parte dell' Ongaria l'elessero per loro re, e molti altri li contradissero. Cosi l' Ongaria rimase in gran discordia. Per lo che il gran turco fe' mettere in porto 112 galere, fatte alla venetiana, per volerle mettere nel Danubio contro l' Ongari: e 200 mila turchi a cavallo per far guerra per terra, e giurò per la fede sua mai partirsi, o morire, o pigliare Belgrado che fu di Giovanni Bianco; et era il passo tra' turchi e l' Ongaria. In quel tempo pigliò due grosse navi per mare, una [281] de'venetiani, e l'altra de'genovesi; e lassò andar quella de'venetiani con tutta la roba, e guastò quella de'genovesi, e fe' scorticare 80 genovesi vivi. Fe' fare bando per tutte le sue terre, che qualunque persona volesse andare nella sua compagnia potesse andare salvo e sicuro. E questo fe' per adunar gente assai per esservi morta gran quantità di gente di peste. Per la qual cosa ci andorno christiani assai e due navi cariche di giudei partiti dal tenimento di Venetia.
Il detto Andrea di Giovanni Bianco fu eletto re d'Ongaria con grandissimo honore e feste, e piu non si curavano de' turchi, et assia ongari vennero a Roma la presente quaresima.A mezzo aprile fu conclusa la tregua tra il cardinale Orsino, Napolione, il cavaliero, l' abbate di Farfa, e Tomasso d'Alviano con sicuranza, e tutti l'Orsini da una parte, et il conte Averso con li figliuoli dall' altra, per mezzo del re di Ragona per 30 mesi; e dicevasi che Napolione e Diofebo figliuol del conte Averso andavano con loro compagnie tutti dui al soldo di detto re contro il sig. Gismondo da Rimini.
Intanto il conte Iacovo pigliava castelli e terre del sig. Gismondo, e mettevali a saccomanno, e pose l' assedio alla Pergola faciendoli gran danno.
In quei tempi furno certi terremoti alla Città di Castello, e gettorno a terra gran pezzo di muro della città, e molte case de'cittadini, et anco per il contado, ove stavano tutti in timore. In quel tempo li genovesi, essendo assai oppressati dal re di Ragona, s'accordaro quelli di dentro e li fuorusciti, e dettero Genova al re di Francia; e così per lui entrocci dentro il figlio del re Ranieri, et il duce di Genova fu [282] fatto capitan dell armata del re di Francia e dei genovesi contro il re di Ragona, quale stava ammalato in Napoli con pericolo di morte.
Anco in quel tempo fu a Roma una bufala che haveva addosso uno spirito cattivo, et ammazzo 13 persone, tra quali un vescovo, che stava fuori di porta latina. Domenica, alli 11 di giugno [Sunday, June 11, 1458], uscirono fuori di detta porta piu di 100 balesteieri e scoppettieri, e non li potevano far niente; et alli 15 di detto mese uscirno più genti assai con balestre e scoppetti, e ferirno detta bufala in più luoghi, e fummi detto qui in Viterbo da persone degne di fede che la bufala parlò, e disse «Se non mi date nel cuore, non mi potete uccidere.» e così ferita andò nel fiume. Dicevasi ch' avesse indosso lo spirito d'un ladro homicidiale chiamato Caprino, giustitiato poco tempo innanzi che fossero dette cose.
Alli 17 di giugno, martedì hore 12 [Tuesday, June 12, 1458], Alfonso re di Ragona spirò nella città di Napoli: per la cui morte il figlio del re di Navarra, nepote carnale di detto re, con tutti li catalani partì dal reame di Napoli, et ando in Sicilia.
Don Ferrante, figlio di detto re Alfonso, si restrinse coll'italiani e tutti li signori di Napoli e suo reame, e massime col prencipe di Taranto che era ziano carnale della moglie di detto don Ferrante, e col duca di Sessa, e col conte di Nola, et altri signori con lui imparentati, levò di mano de' catalani tutti li reggimenti di città, rocche, e castelli, e mise in mano d' italiani. Il qual reame suo padre lasciò a lui per testamento, e l'altri reami suoi lassò al fratello [283] re di Navarra, che era di 60 anni incirca, et il re di Ragona morto d'anni 70.
In quel tempo Antonello da Forli, genero del conte Averso, partissi di Vetralla con 110 cavalli e 200 fanti, et ando al soldi del sig. Gismondo da Rimini contro il conte Iacovo, quale gli tolse ogni cosa subito arrivato là.
Li 27 di giugno si disse in Viterbo come alli 25 detto morì in san Pietro di Roma un penitentiero, e volendolo sepellire nella cappella di s. Petronilla, ove sta una tribuna a man dritta, nel qual luogo è pinta ainticamente la storia di Costantino imperatore, cavandosi li fu trovato un avello di marmo bellissimo, e dentro una cassa grande et una piccola di cipresso cooperta d'argento fino d'undici leghe che fa di peso libbre 832. Li corpi, che erant dentro, erant coperti di drappo d'oro fino tanto, che pesò l'oro colato libre 16. Dicebasi fosse il corpo di Costantino, et un suo figlioletto: et altro segno non ci fu trovato, se non una croce intagliata fatta in questo modo + . Tutte queste robe hebbe il papa, e mandolle alla sua zecca.
Alli 6 d' agosto, a hore 22 partì da Roma, fuggendo celatamente, M. Borgia nepote del papa, et andò ad Ostia, e per mare a Civitavecchia. La detta sera a hore 24 mori il papa Calisto III, per la qual morte li romani ruborno titti li catalani con le case loro, che erano in Roma, e quelli italiani che portavano la divisa di M. Borgia: tra l'altre la casa del vicecancelliero, dal quale titti li suoi famigliari fuggirono, e lui rimase solo in s. Pietro a pregare per il papa. Anche dopo tal morte il conte Averso andò [284] con le sue genti a Carbognano nella Montagnola, et hebbela per trattato, e pigliocci il commendatore di s. Spirito di roma che ne era signore, et ammazzò cinque caprarolesi, che erano andati in soccorso. Fu lunedi, 7 d'agosto [Monday, August 7, 1458]. Poi mise l'assedio a Iugnanello e Valerano pure di detto commendatore, e nepesini pigliorno la rocca di Nepi, e la gittorno a terra, et uccisero il castellano catelano.
Anco per la detta morte Stefano Colonna pigliò Castelnovo e la rocca, che pirma era stato suo, e gli haveva tolto la chiesa.
In quei tempi si levorno certi trattati contro Cosmo de'Medici che regnava Fiorenza: e se non che gli venne soccorso dal duca di Milano e da bolognesi, lui perdeva lo stato; e così vinse, e pigliò 8 cittadini suoi nemici, e felli mal capitare.
Venetia andò in arme perchè fu deposto il lor duce, e fatto un altro, e detto duce vecchio [Foscari] morse per dolore.
Mercordì sera entrorno in conclave 19 cardinale per fare il nuovo papa nel palazzo di s. Pietro. Et in quel tempo il conte Iacomo Piccinino fe' tregua col. sig. Gismondo, e cerco patti col castellano d' Assisi che era catalano, e donolli 12 mila dicati d'oro. Il detto catalano spartì 2 mila ducati fra li soldati di quel castello, e 10 mila si tenne per se, e dette la rocca al conte Iacovo: per lo che hebbe l'altra rocca, e la terra in sual balia. Hebbe anche Nocera, Gualdo, e Bevagna, e pose campo a Foligni; e così fece impresa contro chiesa.
A 29 [sic! XXIX and XIX] d' agosto fu eletto M. Enea Piccolomini cittadino e cardinale di Siena, il quale era giusto di [285] vita d' anni 53. Essendo cardinale fu alli bagni di Viterbo tutta quell'estate, e però ne fu fatta grandissima allegrezza e festa, e chamossi papa Pio II, e fu incoronato in Roma con grandissimo honore li 4 di settembre in domenica 1458.
Marti sera 26 di settembre dentro la rocca di Civitavecchia morì M. Borgia, nepote di papa Calisto III, di morte naturale. Alcuno diceva fosse avvelenato. Il papa vi mandò il vicecancelliero, fratello di M. Borgia, e mandocci M. Nicolò da Pistoia suo tesoriero maggiore per haver detta rocca, ove erano rimasti contanti 70 mila ducati d' oro, e fulli contesa da un castellano chiamato M. Gazerano, che era dentro. Poi detto M. Gazerano s' accordò col vicecancelliero, e partì seco li 70 mila ducati, 35 mila per uno, et 10 mila se ne pigliò nanzi parte, de' quali pagò due contestabili in detta rocca, e pagò li vestiti negri fatti a' suoi per la morte di M. Borgia
In quel tempo il conte Iacomo Piccinino faceva gran guerra in Romagna contro il sig. Gismondo, e riprese 20 castelli per forza, quali se gli erano ribellati quando lui ando ad Assisi, e saccomiseli.
Josephus Cugnoni (editor), Aeneae Silvii Piccolomini Senensis... Opera inedita (Roma: Tipi del Salviucci 1883) , p. 184:
Dum haec aguntur, Lucretia, cujus ante meminimus, Romam venit, non minori comitatu et pompa quam si Regina esset. Calistus eam in Concistorio recepit, assistentibus Cardinalibus, multisque modis honoravit; quod neque Aeneae placuit, neque pluribus aliis, indignum esse iudicantibus eam in conspectu Maiestatis Apostolicae magnificari, quam turpi causa Rex amaret. Et quamvis esset Aeneas Alphonsi amantissimus, non tamen amicam eius Romae visitavit, sicut alii plerique Cardinales, inter quos fuit Petrus Sancti Marci, non tam ceremoniarum Magister, quam favorum saecularium sectator egregius.
[278] Cardinal Raynaldus Piscicelli, archbishop of Naples—who had entered Rome on March 20, been given the red hat on March 21, had his mouth closed and opened on April 1— died on July 1, 1457 [Eubel II, p. 34].
[279] Jacopo Piccinino (1423-1465) [Cribelli, De expeditione Pii Papae Secundi in Turcas, in Muratori, Rerum Italicarum Scriptores Tomus 23 (Mediolani 1733), column 65; E. Ricotto, Compagnie di venture II, 165-174]
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